Accanto alla porta laterale della chiesa matrice di Sternatia, quella che si affaccia sulla via Platea, vi è un “pezzotto” in pietra leccese, su cui è incisa una scritta che parla di un “terremoto terribile” avvenuto “nell’anno del Signore (A.D.i) 10 frebraro 1743”. L’epigrafe contiene altri righi, che però sono illegibili.
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| Sternatia e vista dall'alto della chiesa madre |
A Sternatia non si ha memoria di questo terremoto, neanche le persone più anziane ne tramandano la notizia, tuttavia sembra proprio che questo sia avvenuto e che sia stato molto forte e distruttivo.
Il Prof. Paolo Sansò, professore associato presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università del Salento, nonché esperto dell’evoluzione geomorfologica del paesaggio costiero pugliese, riferisce quanto segue:
“Il 20 febbraio 1743 intorno alle ore 23.30 locali (corrispondenti alle ore 16.30 attuali) tre forti scosse di terremoto interessarono la Puglia meridionale e le Isole Ionie. L’epicentro del terremoto è stato localizzato nel Canale d’Otranto, a soli 50 km dalla costa orientale del Salento. Questo sisma fu avvertito in un’area vastissima che ebbe come limiti a nord alcune città della pianura padana, a est il Peloponneso, le Isole Ionie e la costa albanese; a sud l’isola di Malta, a ovest Messina, Napoli e Roma. I maggiori danni si registrarono su entrambe le sponde del canale d’Otranto: le località che subirono gli effetti distruttivi più gravi furono Francavilla Fontana e Nardò, in Italia, e Amaxichi, sull’isola di Santa Maura (Lefkáda), in Grecia. In questi centri gran parte degli edifici crollarono o furono gravemente danneggiati; una decina di altre località pugliesi, fra cui Brindisi, Taranto e Bari, subirono gravi danni. Nell’area pugliese i morti furono circa 180, di cui circa 150 a Nardò. Nelle Isole Ionie vi furono più di 100 vittime, secondo quanto affermarono i rappresentanti locali della Repubblica di Venezia che allora governava su quei territori”.
Vi è una leggera discordanza tra la data del 10 Febbraio riportata sull’epigrafe e quanto riferito dal prof. Sansò, tuttavia possiamo considerare documento veritiero e prezioso l’incisione fatta dall’anonimo Sternatese.
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| Epigrafe |
Un sisma di tale magnitudo, intorno ai 7 gradi della scala Richter, e generatosi in mare aperto, avrebbe potuto portare alla genesi di uno tsunami (come già avvenne nel 1627 in Puglia, quando la costa settentrionale del Gargano fu devastata da un maremoto). Non essendo la regione nuova ad eventi del genere, probabilmente nel 1743 accadde qualcosa di molto simile.
Uno degli effetti principali provocati dalle onde di tsunami sulle coste rocciose è stato il distacco di blocchi rocciosi di grandi dimensioni dall’area prossima alla linea di riva ed il loro trasporto a circa 80 metri di distanza verso l’interno. In molti casi le grandi dimensioni dei blocchi, il loro numero elevato, la posizione molto arretrata e ben al di sopra della zona raggiunta delle mareggiate permettono di attribuire con ragionevole certezza il loro trasporto e deposizione ad eventi di maremoto.
Più precisamente a sud di Otranto, in corrispondenza di Torre Sant’Emiliano, il prof. Sansò, ha individuato e studiato un accumulo costituito da centinaia di blocchi calcarei di grosse dimensioni. Il più grande di questi blocchi ha dimensioni di 5×3.5×1.5 m e pesa circa 70 tonnellate.
La datazione dell’accumulo è stata realizzata mediante analisi con il radiocarbonio su piccole conchiglie marine ritrovate tra i blocchi.
In conclusione, pare proprio che il distacco, trasporto e deposito dei blocchi sia stato prodotto circa tre secoli fa da almeno due onde di maremoto successive, provenienti da SE-SSE, proprio dall’epicentro del terremoto ricordato nell’epigrafe sulla chiesa matrice di Sternatia.
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